Leggende

La leggenda del Pizzo Stella
“Si tratta della cima piú famosa della Valchiavenna, conquistata nel 1865 da John Ball, scalatore inglese che fu fra i primi ad esplorare queste montagne. Vi é una curiosa leggenda ispirata a questa cima e riportata dall´alunno Buzzetti Lino in un ciclostilato prodotto dalla Scuola Media Bertacchi di Chiavenna, nel 1959. Sfondo storico della leggenda fu la disastrosa alluvione del Torrente Rabbiosa nel 1927. Pare che il Parroco avesse relegato sulla cima del Pizzo Stella, nella festivitá dell´Assunta, tre anime di persone che erano morte nella condizione di scomunicati. Queste anime, peró, si trasformarono in un masso, in un grosso tronco e in un fascio di fieno: questa fu l´origine della rovinosa alluvione che portó le acque del Torrente Rabbiosa a devastare la Val S. Giacomo. Solo quando masso, tronco e fieno furono rimossi, le acque del torrente tornarono, miracolosamente, dentro l´antico alveo. ” (www.paesidivaltellina.it, a cura di Massimo Dei Cas) 

L’ometín vèrt
La Storia di un Confinät, dove compare anche un giovanotto che ha qualche somiglianza con Parsifal. (a cura di Paolo Raineri) ´sti ägn, in-t´i nócc de lüna pièna, pairáva pasä trás-ènt par al giavèr, in grópa a-´n cavál biänç con-t ´la catelána vèrda, ´n´omètin vistí tü´-quánt de vèrt: vèrt al sciópp, al bräç et-al capél, et inträtánt seghjütava a cridä: “ind´ó-j da mètal?”.
Tüc i se sarávan-ènt in-t´i chjä e, par paghjüra, tegnívan bóni ´l fiä.
´na síra de lüna pièna, invérz a la nülóra, al biádic dal Tänti, ün bociáscia de ´na vintèna d´ägn, vegníva par la strècia de Chjä dî Cazí invérz´ la Córt; l´éva ciócc tradí parqä, a pasä ént de Ciavéna in-t´ la Vál, l´éva fäcc la só visita in tü´-quánc´ î ´cappèli´.
In-t´ al sentí i crídi de l´ometín, al bócia, sènza gnänç dáss pensè, l´á vosät “ma mètal indè te l´é´ töcc´.
L´ometín l´é sübat borüt gió de caváll e l´á ciapät a sgarlä ´l tarèn de sciä e de lä e, quánd chjè l´á büt finí, lü e ´l cavál înn scomparüt i s´ènn mai piü vedüt.
L´avèva robät dal tarèn con-t´al spostä i térman; al s´èra confessät üsta prüma de morí, ma ´l ghj´èva änmó de mètaj al so póst; inóra l´é büt ´confinät´ in-t´al sít dal so pechjä, fin a quánd quáj verün, con quíli paróll, l´avèss desliberät e permetü´ d´inträ in-t´ al Pürgatori.

L’omettino verde
Anni addietro, nelle notti di plenilunio soleva vagare lungo le ghiaie (del Liro), in groppa a un cavallo bianco, con la gualdrappa verde, un´omettino tutto vestito di verde: verde la giacca, le braghe e il cappello, e nel frattempo gridava in continuazione: “dove devo metterlo?” Tutti si chiudevano nelle case e per la paura quasi trattenevano il fiato.
Una sera di luna piena, verso mezzanotte, l´abiatico del Ténti, un ragazzotto di una ventina d´anni, veniva per la carrareccia da Tini verso Corti; era ubriaco fradicio perchè, nel venire da Chiavenna, aveva fattola sua visita in tutte le ´cappelle´ (osterie). Nel sentire i gridi dell´omettino, il ragazzo, senza neppure darsi pensiero, ha urlato: “ma mettilo dove l´hai preso”. L´omettino é subito precipitato da cavallo e ha preso a ruspare il terreno di qua e di lá e, quando ebbe finito, lui e il cavallo sono scomparsi e non si sono mai piú visti Aveva rubato del terreno, spostando i termini; se ne era confessato appena prima di morire, ma doveva ancora metterli al loro posto; allora é stato ´confinato´ nel sito del suo peccato, finchè qualcuno, con quelle parole, l´avesse liberato e permesso di entrare in Purgatorio

La leggenda dei Confinati
Nel passato chi spostava i confini dei prati commetteva un reato gravissimo. E nelle leggende compaiono spesso storie legate alle severe punizioni riservate agli spiriti di questi peccatori. Chi in vita aveva spostato un cippo di confine “al termán”, che segnava le proprieta´, defraudando il vicino,dopo la morte e´ condannato ogni notte a ritornare sul posto e scavare, per cercare di riportare il confine al posto originario , ma ogni alba il lavoro verrá vanificato e al posto dello scavo ci sará il terreno intatto

Leggenda di fantasmi in Valle Spluga
Molte leggende raccontano di fantasmi ed altre creature orrende che terrorizzavano i viandanti sui sentieri in posti ben precisi.

La causa dell´alluvione del torrente Rabbiosa nel 1927
Secondo il parroco, la causa dell´alluvione sarebbero stati tre morti scomunicati che egli stesso aveva condotto sul Pizzo Stella nel giorno dell´Assunta; li i tre si sarebbero trasformati in un masso, un grosso tronco e un fascio di fieno. Le tre cose furono rimosse, le acque tornarono nel loro letto e tutto fini´.

La leggenda di San Guglielmo
S. Guglielmo decise un giorno di abbandonare la valle del Liro perche´ molestato dai ragazzi del luogo. Giunto agli alpeggi dello Spluga, incontro´ dei pastori che, riconosciuto in lui l´eremita e venuti a conoscenza della sua intenzione di partire, lo pregarono di restare e gli garantirono la serenita´ dell´eremitaggio. S. Guglielmo, commosso, resto´ e seduto con loro a mensa, offri´ la sua borraccia di vino ai pastori convenuti. Per un prodigio, da essa il vino continuo´ ad uscire e ce ne fu per tutti.

La leggenda del diavolo di San Giacomo
Diverse leggende, dove spesso il protagonista é il diavolo, hanno un evidente intento di ammonizione e dissuasione, in quanto presentano pericoli ed insidie connessi con i comportamenti di dubbia moralitá. Il messaggio é chiaro: attenzione, chi si comporta con leggerezza, si espone a rischi paurosi, e soprattutto al piú terribile, quello di perdere la propria anima. Le ragazze sono le prime destinatarie di questi avvertimenti.
Accadde una volta, durante i festeggiamenti del carnevale (il tempo in cui ci si concede al gusto del divertimento e dello scherzo, prima dei rigori della Quaresima), che due ragazze decisero di lasciare l´ambiente un po´ austero e triste dei monti di San Bernardo per scendere a San Giacomo-Filippo, dove era stata organizzata una serata danzante. Si misero, quindi, in cammino e, oltrepassato l´aspro salto della valle, si portarono sul lato meridionale, raggiungendo Olmo. Erano partite di pomeriggio, e quando, scendendo ancora, raggiunsero il fondovalle, lá dove un ponticello permette di passare dal lato orientale a quello occidentale della valle di San Giacomo, raggiungendo il cuore del paese di San Giacomo-Filippo, era giá calata la sera, con le sue ombre inquietanti. Ma le ragazze pregustavano il divertimento della sera, amanti com´erano del ballo, e non c´era posto, nella loro mente, per pensieri tristi.
Non notarono, quindi, un signore che se ne stava seduto sul muricciolo vicino al ponte, come se attendesse qualcosa o qualcuno. Per questo si stupirono quando costui rivolse loro la parola, chiedendo dove fossero dirette. Superato il moto di sorpresa, risposero candidamente che era loro intenzione passare almeno parte della serata ballando. L´uomo allora, un signore mai visto, con un accento tranquillo e quasi benevolo, ma deciso, le invitó a tornare subito a casa e, di fronte alla resistenza di una delle due, che non intendeva privarsi di un po´ di divertimento, se ne uscí con una frase che suonava come una minaccia sinistra: “E allora vai, quello che cerchi, troverai.” Cosa nascondevano quelle parole enigmatiche? Se lo chiesero, per qualche istante, le due ragazze, mentre l´uomo scompariva ai loro occhi, come se fosse stato inghiottivo dal buio che ormai circondava quel luogo.
La conclusione che ne trassero fu diversa: l´una, scossa dal monito, preferí tornare indietro, verso casa, l´altra, invece, rimase ferma nel suo proposito di godersi una serata danzante. Senza esitare ulteriormente, quindi, raggiunse la stalla che era stata adattata a pista da ballo, e che per tutta la serata fu animata da canti e danze. Quando un individuo, anche questo mai visto, le chiese, con insistenza di ballare, e la trascinó in un ballo singolare e concitato, che sembrava non avere mai fine, aveva giá dimenticato l´episodio del ponte. All´inizio la cosa sembrava anche divertente, ma poi, in un´atmosfera che si faceva sempre piú irreale, quel ballo che non terminava, quei passi frenetici ed il mistero di quell´uomo che non pronunciava parola si fecero strada nell´animo della ragazza, dove all´euforia della festa si sostituí un´inquietudine sempre piú marcata. Teneva lo sguardo basso, non osava guardare in faccia il compagno di danze, e, ad un certo punto, osservó un particolare che le era, fino ad allora, sfuggito: quelle estremitá nere che aveva giá guardato con occhio distratto, ad uno sguardo piú attento si mostrarono per quel che erano, due grosse zampe caprine. Un segno che non si puó equivocare, il segno del diavolo.
Le si raggeló il sangue nelle vene, e per diverso tempo si lasció trascinare nel ballo quasi a corpo morto. Ma si riebbe, fece appello a tutto il suo coraggio, aspettó il momento propizio e sfuggí alla presa del diabolico ballerino, precipitandosi fuori, riguadagnando il ponticello sul Liro, decisa a tornare diritta a casa, senza neppure voltarsi indietro. Ma i misteri di quella serata da incubo non erano terminati. Infatti, al ponticello sembró materializzarsi una terza enigmatica figura, che sembrava piú nera del nero della notte, e che le chiese se si fosse divertita. La ragazza, ancora sconvolta, senza neppure porsi il problema di chi avesse di fronte, rispose di no, disse che aveva incontrato il diavolo in persona, che l´aveva tentata. “Il diavolo ti aveva avvisata!”, fu la replica del misterioso indivisuo.
(tratto dal volume Paganoni, “Racconti e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, edito nel 1992 e www.paesidivaltellina.it )