Usi costumi e ricorrenze

La popolazione
Pietro Buzzetti, prete e storico della Valle Spluga cosí descrive la sua popolazione:
La popolazione nativa si mostra intelligente e cortese, robusta e attiva, morale e religiosa: mens sana in corpore sano!
I nostri nonni usavano il piccolo cilindro, giubbettino. Giubba a coda di rondine, cravatta nera al collo su candida camicia, calzoni corti abbottonati sotto il ginocchio, calze lunghe, scarpette fregiate da fibbie argentee. Scomparvero gli esemplari poco dopo la metá del secolo scorso.
Mezzi mnemonici sono quelli di fare uno o piú nodi nelle cocche della pezzuola di tasca a seconda che una o piú cose si devono ricordare: cosí il conteggio tante volte si fa mediante tacche segnate in un bastoncino.
Le strade montane costringono i terrieri a munire le scarpe di grappelle per difendersi dai ghiacci nel lungo inverno: o almeno la destra si arma di lungo bastone dalla punta ferrata e acuminata; se no, si pone una corda a uno o piú giri, secondo la grossezza, sotto la caviglia della scarpa, la si incrocia sopra il dorso del piede e la si annoda sopra il tallone, aggiungendo stracci, fieno o paglia.
Per riscaldare il letto si pone al focolare un ciotolo liscio e arrotondato, lo si ritira bollente dal fuoco e lo si immerge frettolosamente nell´acqua pulita perchè non abbruci la lingeria, lo si pone finalmente tra le lenzuola ai piedi del letto. 
Buone scarpe ed alte, ghette o gambali di panno fino al ginocchio, una giubba ben serrata alla vita con cintura, un berretto in capo che possa all´uopo riparare anche la nuca e le orecchie, rendono l´alpigiano imperterrito sotto la neve e la pioggerella.
Pietro Buzzetti, Le chiese nel territorio dell´antico comune in Valle San Giacomo, 1922

Morselli, descrittore attento della valle, annotava come la popolazione concorresse anch´essa a disegnare il volto di una quotidianitá vissuta fra le pieghe dei mestieri e del folclore locale. “La popolazione, ne´ paesi superiori, é grande, robusta, fisionomie marcate, belle donne tarchiate, con forme piene: occhi grandi e di grigio bruno, capelli castani, faccie rotonde e colorate – dico nel brevissimo tempo che sono belle. É grande la varietá del vestito, spesso peró di lana bruna, con balzane di color rosso e calze pur rosse, vivi colori che formano un contrasto, ben diverso dall´armonia che le persone colte ottengono dall´accoppiar le gradazioni somiglianti. Ne spiccano belle camicie, che ordinariamente son l´unica copertura alle braccia e al petto, in mezzo al quale sono sparate, e chiuse con un bottone d´argento.” S. Morselli, op. cit.

Usi
Il primo febbraio era usanza chiamare alla porta una persona amica e poi prenderla in giro dicendo : “Le fo´ ginèe, l´é fo´ l´urz de la tana!” cioé Gennaio é fuori , é fuori l´orso dalla tana.
Nei primi tre giorni di marzo i ragazzi e bambini percorrono il paese facendo suonare rumorosamente i campanacci delle mucche e capre al grido di “Erba föra che l´é márz!” oppure “Erba e föia che l´é márz!” cioé fuori l´erba che é marzo e erba e foglia che é marzo. Questa tradizione é ancora viva nei paesi della valle.
il 2 novembre si regalavano castagne lessate con senso di pietá verso i fedeli defunti.

Matrimonio
Senza intermediari, il giovane si sceglie la futura compagna di vita, la regala d´un donativo dopo il fidanzamento.. dopo i giovani si presentano al parentado annunciando il prossimo matrimonio, dispensando canditi. (In tempi migliori fioccavano dalle finestre e dai poggioli della casa in festa castagne, noci e nocciole, canditi e monete spicciole e la turba sottostante dava grida gioiose). Se lo sposo conduce la sua donna fuori dalla nativa Parrocchia, la gioventú maschile accorre sul luogo attende i nuoci coniugi ai confini, vi crea una barricata burlesca, pretende dallo sposo la “Róstia o rustisa”, ossia un compenso per la involata loro compaesana , e avuta l´aspettata contrattata regalia applaude bene augurante ai novelli coniugi, godendo poi in allegro simposio il frutto della carnevalesca impresa.
Se trattasi di seconde nozze allora talvolta l´ironica beffa, la musica grottesca indiavolata dei monelli. Rimasugli di medio evo!
gli sposi quasi sempre fanno la loro casa a parte: tramanderanno fedelmente ai figli il campicello e l´edificio ereditato dagli avi, come patrimonio sacro: generalmente i figli ereditano in parti eguali, senza distinzione di sesso, diffalcando le eventuali pendenze passive e la “schelfa” o corredo nuziale.
Pietro Buzzetti, Le chiese nel territorio dell´antico comune in Valle San Giacomo, 1922

Del culto in generale e delle cerimonie, usi ed opinioni che riguardano le nascite, le morti.
Il popolo del dipartimento ( si intende Valtellina e Valchiavenna la quale comprende la Valle Spluga) é estremamente attaccato al culto cattolico, o per meglio dire alle esterioritá del culto, non conoscendosi qui presso a poco altri divertimenti che quelli che nascono dalle pompe e cerimonie ecclesiastiche. Lo scampanio, che tanto riesce molesto a chi é dotato d´un orecchio alquanto delicato, sembra contenere per questi contadini tutte le piú squisite combinazioni musicali. Il popolo si picca di una grande divozione verso la beata Vergine, a cui viene attribuita una dichiarata parzialitá per questa valle. Dessa é venerata da per tutto, nè avvi chiesa parrocchiale in cui non abbia un altare e talvolta tre, sotto differenti denominazioni – per esempio del Carmelo, del Rosario, della Neve, dell´Addolorata, del Buon Consiglio, della Cintura, dell´Immacolata, dell´Assunzione, e cosí discorrendo.

La passione delle processioni é vivissima in tutto il Dipartimento: pare che l´anima di questi contadini si elettrizzi in simili circostanze. Quanto piú sono lunghe, faticose e per istrade alpestri, tanto piú incontrano il genio de´ medesimi. Le rogazioni sono veri viaggi; forse ció che ne aumenta lo zelo ed il concorso sono certi lasciti di particolari, per cui a certa data pausa si distribuiscono delle refezioni.

Nascite
Quando nasce un fanciullo si porta alla chiesa ordinariamente assistito da un padrino e da una madrina. Questi vengono per lo piú scelti tra il ceto signorile o fra i migliori vicini. Il padre stabilisce il nome che deve portare suo figlio. Tal nome é costantemente quello degli avoli o delle avole, e quindi degli altri parenti men diretti, ció che fa non di rado nascere delle confusioni.

Morti e tumulazioni 
La morte ha poco o nulla di spaventoso per questi contadini. L´idea che se ne fanno é piuttosto quella del riposo che quella del proprio annientamento. Si domandi ad un villico cosa é accaduto di suo padre, o di qualche suo attinente, risponderá: é lá che riposa, volendo significare che é trapassato. 
I molti travagli e patimenti, raramente interrotti da qualche piacere, contribuiscono potentemente a rendere loro meno deforme l´aspetto della morte. Spirato l´individuo, si accende nella sua camera una candela, e lo si fa vegliare da qualche persona sino al momento del suo trasporto. Se la famiglia del morto é civile, é dovere di cortesia di tutte le persone sue pari il recarsi presso gli afflitti, e tener loro compagnia sin che dura la cerimonia funebre; ció che chiamasi tener caso. Se il defunto é contadino, la di lui bara é seguita in alcuni luoghi da tutti i suoi parenti, che assistono alla messa ed alle esequie. Le donne prorompono in pianti, e danno l´ultimo bacio al cadavere pria che venga calato nella fossa. 
Rapporto del prefetto dell´Adda Angiolini al signor Conte Consigliere di Stato Direttore Generale della Pubblica
Istruzione su gli usi e costumi del Dipartimento dell´Adda – Sondrio, 8 gennaio 1812

Appena nel secolo scorso, talvolta nei funerali i dolenti emettevano strida ed alti lai: ma va scomparendo anche questa disgustosa usanza, come cessó quella per cui persone di ogni etá e sesso si frammischiavano per vegliare l´estinto, come decadde l´eteroclito uso pel quale, dopo il funebre rito in casa del defunto si allestiva ai parenti convenuti un banchetto anzichè una modesta refezione. Resta invece pia consuetudin,e nel decesso di un capofamiglia, di distribuire ai parenti, o anche a tutte le famiglie della frazione, pane e sale onde venga suffragato il trapassato. 
Pietro Buzzetti, Le chiese nel territorio dell´antico comune in Valle San Giacomo, 1922

Usi e costumi concernenti l´agricoltura
La luna é l’assoluta regolatrice di tutte le opere campestri. La potatura degli alberi, la castratura degli animali, l´estrazion de´ concimi dalle stalle, tutto si fa regolandosi sulle fasi di questo satellite. La legna che non sia tagliata per luna calante ha poco vigore, arde male, dá fumo, ed é soggetta a tarlarsi.
hanno
Rapporto del prefetto dell´Adda Angiolini al signor Conte Consigliere di Stato Direttore Generale della Pubblica Istruzione su gli usi e costumi del Dipartimento dell´Adda – Sondrio, 8 gennaio 1812